Qualche anno fa, al funerale di una persona a me cara, sentii il sacerdote commentare che la vita dell’estinto in questione era stata una vita “normale, fatta di lavoro e famiglia. Ma per l’appunto è la vita normale, che interessa”. E forse è proprio questo l’atteggiamento che dovrebbe accompagnarci verso l’osservazione della quotidianità che poi, nella scoperta di luoghi nuovi (quando se ne ha l’opportunità), assume connotati curiosi grazie ad un punto di vista preciso: quello di ognuno di noi. Il vispo Manini gioca con luoghi, immagini e parole inviandoci , da altrettante località, 50 “cartoline in versi liberi” che apparentemente non sono che tracce di “vita normale” o semplici mini-resoconti di viaggi personali filtrati con l’occhio del poeta giullare.
Ma a volte è il “linguaggio” che fa la differenza. Facendo proprio l’appunto di Carmelo Bene che richiamava la distinzione tra “lingua” e “linguaggio”, il Nostro ne scrive nell’introduzione: i “Confini” naturali o artificiali che siano, portano alla divisione fra umani che comunicano con lingue diverse: “Ma il linguaggio è un’altra narrazione”, forse intendendo che ognuno è responsabile e autore della propria via espressiva, la quale è unica e irripetibile da un altro essere umano.
E allora tanto vale lasciarsi condurre per mano dal Brianzol Cicerone nel suo viaggio intorno al mondo da lui visitato ed elaborato. Cinquanta località tra Italia, Svizzera, Francia ,Grecia, Andorra e Tunisia ognuna condensata in pochi versi. Spesso il poeta si cela dietro la descrizione di “flashes” simbolisti e non concede spazio alla prima persona narrante. Essa è autrice apparentemente “distaccata” di quanto di evocativo ogni luogo mostra in una sinestesia di immagini suoni e “vibrazioni” soggettive. Già dall’esordio si parte con una città come Ajaccio, ma ribaltando la prevedibile evocazione: la prima immagine è un banale televisore e la dimora dove nacque Napoleone ha…”poco di Napoleonico”. Destrutturare con sottile ironia senza particolari voli pindarici è una delle caratteristiche del Nostro, come nelle sue canzoni. E subito ci catapultiamo nella “Brianza velenosa” (come direbbe Lucio Battisti) per scoprire più criptiche immagini come i “capannoni della produzione sostenuta” che però ci fanno pensare all’impegno sociale strenuamente portato avanti nella canzone teatralizzata della “Banda Putiferio” di cui Daniele è cantante autore e frontman. Le caratteristiche principali sembrano essere il ritmo “spezzato” e rapido dei versi liberi unite a efficaci parallelismi visivi come i “suonatori di bonghi del parco Sempione” messi a confronto coi suonatori di “Hang” dell’ Alsazia .Spicca qualche locuzione bizzarra di sapore vagamente jannacciano come quando si descrive Bormio “senza necessariamente neve” o, più dichiaratamente un universo fatto di “pastasciutte devastanti” e “Macedonie scippate” ,fino a citare dichiaratamente il modello quando i “limoni festeggiano ma non ci parlano, come (direbbe) il buon Enzo”.
I confini, ci dice l’autore, non possono avere una univoca definizione: sono spesso labili, a volte pretestuosamente geopolitici, ma altre volte paradossalmente paiono dare un orientamento e una facilitazione . Chi viaggia, lo sa bene. L’immagine di copertina ritratta in Polonia, che mostra una scultura raffigurante un funambolo col busto proteso in avanti su un filo sospeso nell’aria, è significativa: per quanto rischioso, un viaggio vale sempre la pena di essere intrapreso. Come tale ha i suoi ritmi che non sempre sono razionalmente governabili. In effetti l’andamento dell’opera globalmente qui vista non è sempre lineare: qualche volta scorre fluentemente, qualche volta “zoppica” come in certi “arresti” in cui si scade un po’ nella filastrocca “neniosa”, altre volte più vivace e con immagini brillanti, altre volte più prevedibile. Resta comunque sempre, nel complesso, la padronanza dello spirito narrativo e una certa maestria nella “geografia” narrativa: alcuni esordi spiazzanti come un’”Intervista radio” per descrivere la città di Domodossola o paralleli curiosi come la “Borghesia sciistica” di Courmayeur a confronto con la compensazioni dei “mercatini a chilometro zero”, rinvigoriscono la fluidità del racconto (termine che qui usiamo impropriamente) che ci fa arrivare senza affanno alla fine del viaggio in un luogo suggestivo come il Campanile di Curon Venosta , sommerso dal lago. Qui, come in un traguardo cui si arriva esausti, persino il poeta si domanda “Che scrivere?”, come avesse esaurito energia e risorse e nello stesso tempo gli mancassero le parole di fronte ad una “cartolina” così particolare ed unica nel suo genere. Ma si sa, dove non arriva la semplice parola, può sopperire la musica. Infatti a tale monumento naturalistico il cantautore Manini dedica anche una canzone, cui si accenna alla fine del componimento, per lasciarci su un’immagine ad effetto che rimanda alla “politica poetica” di base dell’autore: Il “Dopobomba all’acqua di profitti”. E anche noi qui, diremmo :”Che aggiungere?”
(L.M.)