cop fratello john

“FRATELLO JOHN, SORELLA MARY” di Marco Ehlardo (ed. Spartaco,2016)

 

In un momento dove il tema degli emigranti e degli extracomunitari sembra tenere banco un po’ ovunque, ben venga, si potrebbe dire, un’ipotesi di punto di vista non molto spesso considerato perlomeno dagli organi “ufficiali” dell’informazione e di altra letteratura. E dunque chi meglio di un operatore sociale come è stato Marco Ehlardo, autore napoletano, per offrirci un’esperienza che sicuramente attinge anche al suo vissuto, in un campo difficile e problematico quanto affascinante e intricato. “Fratello John, sorella Mary” è per l’appunto un “rendiconto” dell’alter ego dell’autore Mauro Eliah. Il protagonista ci accompagna, per la seconda volta, nel suo mondo costellato di fatti e personaggi tragicomici ai quali viene offerta la possibilità di raccontare il loro personale punto di vista . Incontriamo così una coppia di  migranti africani, il John e la Mary del titolo che cercano protezione e aiuto come anche la piccola Flower, ragazza madre che dalla Nigeria si trova a dover compiere un viaggio forzato dopo la morte dei genitori, all’interno di una vera e propria tratta di prostituzione ad opera di misteriosi uomini di sporchi affari. E tocca dunque a Mauro essere il punto nodale, per così dire , dello svolgimento di tutte le peripezie, umanitarie e burocratiche necessarie tra mille difficoltà , dell’associazione di accoglienza in cui opera. La sottile ironia -che spesso si muta in giustificato sarcasmo – con cui propone il racconto delle vicende come io narrante ci aiuta a districarci con leggerezza ma anche con rabbia nei meandri di una difficilissima realtà quasi fossimo noi stessi a doverne assumere i ruoli attivi e di mediazione.

Ed è proprio in questo viaggio che abbiamo occasione di renderci conto e qualche volta magari sorridere in maniera agrodolce di figure che dovrebbero operare in tal senso ma che spesso si rivelano inadeguate e  quasi burlesche. In primis l’imprenditore che dice di sposare la causa dei migranti e propone l’idea di inaugurare una mensa per loro ma non ha intenzione di metterci neppure un centesimo per la sua realizzazione; oppure Federico , figlio di famiglia più che benestante disoccupato “per colpa del neoliberismo” ma che con i suoi ideali di comodo di estrema sinistra si vanta della sua associazione che si limita a “monitorare che chi gestisce i progetti di accoglienza lo faccia in maniera umana”; la sua figura è un po’ stereotipata ma perfettamente vincente nel lampo di scrittura e costruzione comica del personaggio. Troviamo poi l’operatore sociale Mohamed, pieno di determinazione e di buone intenzioni ma con un carattere troppo “multitasking” per essere del tutto presente e affidabile. E poi l’assessore comunale “più fumo che arrosto” che parla e “predica” molto bene ma che nei momenti difficili, invece di essere presente e d attivo, si allontana . La comicità fra le righe però non manca anche quando si sciorinano i vari nomi di associazioni e gruppi musicali che richiamano un po’ il Nanni Moretti di “Ecce bombo” : Associazione “8 luglio”, associazione “8 febbraio”, il gruppo musicale  “Fanculo a tutti” , l’associazione “I rifugiati e le rifugiate sono nostri fratelli e sorelle” . E lo stesso Nanni Moretti può esserci d’aiuto con il suo accorato monito “Le parole sono importanti!” quando Mauro ci ricorda l’impellente necessità di chiarire il significato vero delle parole , ad esempio chiarendo  la distinzione netta tra ciò che significa “migranti”  e ciò che rappresentano i “rifugiati” o i “richiedenti asilo”. Forse uno dei principali richiami del testo è proprio sull’importanza della parola e del modo di comunicare che è estremamente difficile in un ambito (ma non è il solo) dove tutti sembrano preoccupati più di affermare il proprio ego e le proprie esigenze di sopravvivenza o di arrivismo che di “parlarsi” ; anche la difficoltà di comunicarsi in lingue diverse (in questo caso fra l’io narrante e i co – protagonisti del titolo) può rientrare in questa logica. A contraltare e a “stemperare” il tutto ci salva però l’ironia spesso ,come si diceva , a livelli comici; anche il ritmo “spezzato” e scoppiettante dettato dalla brevità dei 52 capitoli che compongono il libro e che tra il ritmo rapido ma non frettoloso della narrazione, propongono anche delle “chicche” di genialità come la “tapparella razzista” dell’appartamento dove risiedono alcuni extracomunitari che sembra rompersi una volta a settimana e perciò scherzosamente ipotizzata tale. Tale ironia tocca punte estreme ma purtroppo realistiche quando si accenna ai corsi di integrazione che si dicono studiati apposta per favorire l’inserimento dei “fratelli”, ma che poi si rivelano dei semplici corsi di ballo o di musica d’insieme, rispettabili se si vuole ma non proprio finalizzabili ai nobili scopi che a parole si dice voler ottenere….

A suggello di tutto , ci pare notevole l’idea di inserire qualche excursus dettagliato come quello dove Ehlardo descrive un frammento di Napoli con desolata precisione e dove la geografia mista a storia e osservazione della vita attuale costituisce il cuore dell’amarezza di fondo della vicenda narrata: sembra quasi di sentire l’eco di una canzone di Edoardo Bennato del 1974 (“TIRA A CAMPARE”) dove descriveva la sua Napoli:

Sì è bella lo so che è bella
è la mia città…
Sì è stanca ed ammalata
e forse non vivrà…
Sì lo so che va di male in peggio
sì lo so qui è tutto un arrembaggio
qui si dice tira a campare
tanto niente cambierà… si dice:
Tira a campare
non cambierà
tutto passa bene o male
ma per noi non cambierà… si dice:
Tira a campare… non cambierà
tutto passa bene o male
ma per noi non cambierà…”

E chissà se Marco Ehlardo ha avuto nel cuore questo stesso sentore nello scrivere il  “resoconto” trasposto nel suo Alter Ego. Anche perché la conclusione non porta tranquillità nel seguire le “ultime ma non ultime” peripezie di Flower, il personaggio forse più inquieto ed inquietante dell’intera vicenda che non porta ad una risoluzione ma ad un continuo ricominciare da capo del suo interminabile viaggio, che è forse lo stesso viaggio di tutta l’umanità qui descritta : chi decide di intervenire si trova di fronte a continui muri di gomma che non sfociano quasi mai in vere e proprie soluzioni forse perché più che di risoluzioni si parla di affermazioni personali o di salvezza personale senza mai un vero e proprio occhio globale. E nel chiudere il testo ci domandiamo se forse non sia il caso di unirci alle constatazioni di Umberto Galimberti a proposito della vittoria della tecnica e della tecnologia sull’umanità che qui potrebbe apparire un fuori tema ma non lo è fino in fondo, se sempre di sopraffazione dell’uomo sull’uomo – per un verso o per l’altro – si va a finire di parlare: “Che fare? Nulla. (…) Perché parlarne allora? Per esserne almeno consapevoli”. E in un’importante consapevolezza, Ehlardo ci conduce e fa la sua parte.

 

(L.M.)

 

www.edizionispartaco.it 

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